Misura cautelare in carcereCome avevamo anticipato nell’articolo sulla inapplicabilità della misura cautelare in carcere per le pene detentive non superiori a tre anni, il decreto legge 26 giugno 2014 n. 92 avrebbe potuto subire modifiche in sede di conversione in legge.

Così è stato: in particolare, e per quel che a noi interessa, la legge 11 agosto 2014 n. 117, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 192 del 20 agosto 2014 ed entrata in vigore lo scorso 21 agosto, ha apportato rilevanti modifiche all’art. 8 del decreto, che interveniva sull’art. 275, comma 2-bis, c.p.p. introducendo un divieto assoluto di disporre la misura cautelare in carcere per le pene detentive non superiori a tre anni.

Modifiche al decreto 26 giugno 2014 n. 92

In seguito alla recente modifica, il nuovo art. 275, comma 2-bis, c.p.p. recita: “Non può essere applicata la misura cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena. Salvo quanto previsto dal comma 3 e ferma restando l’applicabilità degli articoli 276, comma 1-ter, e 280, comma 3, non può applicarsi la misura della custodia cautelare in carcere se il giudice ritiene che, all’esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni. Tale disposizione non si applica nei procedimenti per i delitti di cui agli artt. 423-bis, 572, 612-bis, e 624-bis del codice penale, nonché all’art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e quando, rilevata l’inadeguatezza di ogni altra misura, gli arresti domiciliari non possano essere disposti per mancanza di uno dei luoghi di esecuzione indicati nell’art. 284, comma 1, del presente codice”.

Ne consegue che il divieto di disporre la misura cautelare in carcere non si applica:

  • ai casi previsti dall’art. 275, comma 3, c.p.p. ;
  • all’ipotesi in cui l’imputato agli arresti domiciliari abbia trasgredito al divieto di allontanamento dal luogo di esecuzione della misura (art. 276, comma 1-ter, c.p.p.);
  • all’ipotesi in cui l’imputato abbia trasgredito alle prescrizioni inerenti un’altra misura cautelare (art. 280, comma 3, c.p.p.);
  • ai procedimenti per i delitti di incendio boschivo, maltrattamenti in famiglia, atti persecutori (stalking), furto in abitazione e furto con strappo;
  • ai procedimenti per i delitti di cui all’art. 4-bis della legge n. 354 del 1975;
  • ed a tutte le ipotesi in cui, stante l’inadeguatezza di ogni altra misura cautelare, gli arresti domiciliari non possono essere disposti per mancanza di un luogo di esecuzione idoneo ai sensi dell’art. 284, comma 1, c.p.p.

Con la legge di conversione il Legislatore ha dunque recepito le critiche sollevate dalla dottrina e da una parte della magistratura: ha così mantenuto salva l’applicabilità della custodia cautelare in carcere qualora si proceda per delitti di particolare gravità e allarme sociale. Ha inoltre conservato la possibilità di applicare il carcere preventivo nelle ipotesi in cui l’imputato agli arresti domiciliari violi le prescrizioni sul divieto di allontanarsi dal luogo di esecuzione della misura e nelle ipotesi di violazione delle prescrizioni inerenti un’altra misura cautelare, nonché quando l’imputato sia senza fissa dimora.

Tuttavia, anche la scelta di introdurre un ‘catalogo’ di fattispecie di reato alle quali non si applica il nuovo art. 275, comma 2-bis, c.p.p., non è esente da critiche, sfuggendo la logica con la quale si è deciso che per taluni delitti, ma non per altri non meno gravi, vale un trattamento più severo.

Lo stesso Legislatore ha poi risolto un’altra importante questione interpretativa: sostituendo le parole “pena detentiva da eseguire” con “pena detentiva irrogata”, ha eliminato ogni dubbio circa la necessità di scomputare dal calcolo dei tre anni di pena l’eventuale custodia cautelare già eseguita: tale calcolo, invero, non può essere determinato nel momento in cui il Giudice si trova a decidere sull’applicabilità della misura cautelare (momento in cui può solo fare una prognosi sulla pena che sarà irrogata al momento della condanna); di qui l’ambiguità dell’inciso ora modificato.

Minorenni

In ultimo, la legge di conversione in esame ha modificato anche la disposizione che stabilisce che i condannati minorenni devono rimanere fuori dal circuito penitenziario degli adulti sino al compimento del venticinquesimo anno di età (disposizione della quale avevamo trattato nell’articolo sulle novità introdotte dal decreto legge n. 92 del 2014).

A seguito della modifica, l’art. 24 del d.lgs. n. 272 del 1989 prevede: “Le misure cautelari, le misure alternative, le sanzioni sostitutive, le pene detentive e le misure di sicurezza si eseguono secondo le norme e con le modalità previste per i minorenni anche nei confronti di coloro che nel corso dell’esecuzione abbiano compiuto il diciottesimo ma non il venticinquesimo anno di età, sempre che, per quanti abbiano compiuto il ventunesimo anno, non ricorrano particolari ragioni di sicurezza valutate dal giudice competente, tenuto conto altresì delle finalità rieducative. L’esecuzione rimane affidata al personale dei servizi minorili”.

Nessuna modifica hanno invece subito, in sede di conversione in legge, le disposizioni relative ai rimedi risarcitori per i detenuti che hanno scontato la pena in condizione di sovraffollamento (per l’approfondimento del tema si rinvia all’articolo Primi passi verso la civiltà: il risarcimento per il trattamento inumano in carcere).

 

Importanti modifiche al decreto legge 26 giugno 2014, n. 92: ora è legge