Messa alla prova - Lavoro di pubblica utilitaLa legge del 28 aprile 2014 n. 67, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 100 del 2 maggio 2014 ed entrata in vigore lo scorso 7 maggio, introduce importanti novità nell’ordinamento penale italiano: prima fra tutte la sospensione del procedimento con messa alla prova, già conosciuta nel processo penale a carico di imputati minorenni (art. 28 d.P.R. n. 448 del 1988), ed ora estesa, come da tempo si auspicava, anche agli imputati maggiorenni.

Senza dimenticarsi della componente afflittiva, il nuovo istituto, sull’esempio della probation di tradizione anglosassone, costituisce anzitutto un percorso di risocializzazione e reinserimento alternativo per gli autori di reati di minore allarme sociale; inoltre, consentendo di evitare il dibattimento, rappresenta anche un importante strumento deflattivo del processo penale.

Tali caratteristiche e funzioni riflettono il doppio profilo, sostanziale e processuale, della sospensione del procedimento con messa alla prova: da un lato causa di estinzione del reato (disciplinata al titolo VI del libro I del codice penale, agli artt. 168-bis, 168-ter e 168-quater), e dall’altro procedimento speciale (disciplinato al titolo V-bis del libro VI del codice di procedura penale, agli artt. da 464-bis a 464-novies), accanto agli altri riti alternativi al procedimento penale, ossia al giudizio abbreviato, all’applicazione della pena su richiesta delle parti, al giudizio direttissimo, al giudizio immediato ed al procedimento per decreto.

La nuova misura, poi, evitando l’ingresso in carcere degli autori di reati meno gravi, si inserisce entro quella politica criminale di riduzione della popolazione carceraria, per porre rimedio al sistemico sovraffollamento degli istituti penitenziari italiani, che ha dettato numerosi altri recenti interventi legislativi (tra questi, il decreto legge “svuota carceri” n. 146 del 23 dicembre 2013).

I limiti di applicabilità

Diversamente dall’istituto previsto nel sistema penale minorile, quello introdotto dalla legge n. 67 del 2014 prevede taluni limiti di applicabilità, due di natura oggettiva ed uno di natura soggettiva; più precisamente, come si legge nell’art. 168-bis c.p., la sospensione del procedimento con messa alla prova:

– è ammessa solo per i reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, e per i delitti indicati dal comma 2 dell’art. 550 c.p.p. (fra i quali la resistenza ad un pubblico ufficiale, la rissa aggravata, il furto aggravato e la ricettazione);

– non può essere concessa più di una volta;

– e non può applicarsi al soggetto dichiarato delinquente professionale, abituale o per tendenza.

I contenuti della messa alla prova

Come la messa alla prova prevista per i minorenni, anche quella per gli adulti consiste nell’affidamento dell’interessato al servizio sociale per lo svolgimento di un programma di trattamento (che può comprendere, ad esempio, attività di volontariato di rilievo sociale o il divieto di frequentazione di determinati locali) e nella prestazione di condotte riparatorie, volte alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, e, ove possibile, anche risarcitorie.

In più rispetto alla probation del sistema penale minorile, il nuovo istituto prescrive lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, sanzione già prevista dalle disposizioni sulla competenza del Giudice di Pace (art. 54 d.lgs. n. 274 del 2000), dal testo unico in materia di sostanze stupefacenti (art. 73, comma 5-bis, d.P.R. n. 309 del 1990) e dal Codice della Strada (per l’applicazione della detta sanzione in seguito alla commissione di reati stradali, quale la guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, si rinvia all’approfondimento Guida in stato di ebbrezza). Tuttavia, rispetto alle disposizioni ora richiamate, la legge n. 67 del 2014 ha indicato talune peculiarità del lavoro socialmente utile, in linea con le indicazioni formulate all’art. 1 della medesima legge laddove viene delegata al Governo la riforma del sistema sanzionatorio.

Più precisamente, il lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di una attività non retribuita in favore della collettività, che deve tenere conto della professionalità e delle attitudini lavorative dell’imputato e le cui modalità di svolgimento non devono pregiudicare le sue esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute. La sua durata è fissata nel minimo, pari a 10 giorni, ma non nel massimo; ed al giorno non posso essere svolte più di 8 ore di lavoro.

La prestazione socialmente utile può essere svolta presso lo Stato, le regioni, le provincie, i comuni e le aziende sanitarie o presso enti od organizzazioni, anche internazionali, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. Non è chiaro, non essendovi alcuna precisazione nella legge, se gli enti presso i quali è possibile prestare il lavoro non retribuito debbano essere convenzionati.

Il programma di trattamento, che – come si preciserà a breve – va allegato alla richiesta di sospensione del procedimento, deve essere elaborato d’intesa con l’U.E.P.E., ossia l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna, e deve comprendere tutte le prescrizioni di cui si compone la messa alla prova: da quelle relative al lavoro di pubblica utilità alle prescrizioni comportamentali (sul luogo di dimora, sulla libertà di movimento e sull’eventuale divieto di frequentare determinati locali); dalle condotte riparatorie e risarcitorie, volte ad eliminare o attenuare le conseguenze del reato, a quelle relative ad una eventuale mediazione con la persona offesa. In altre parole, il programma di trattamento rappresenta quel percorso riabilitativo e risocializzante che l’imputato deve intraprendere durante la messa alla prova, e del quale fanno parte integrante anche i comportamenti indirizzati alla persona offesa; in tale processo di reinserimento sociale, se possibile e necessario, vengono coinvolti pure il nucleo familiare dell’imputato ed il suo ambiente di vita.

La richiesta di applicazione della nuova misura

La richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova può essere proposta oralmente o per iscritto (con sottoscrizione autenticata), personalmente o dal difensore munito di procura speciale (art. 464-bis c.p.p.). A differenza dell’analogo istituto previsto nel sistema penale minorile, la messa alla prova per gli adulti non può essere applicata d’ufficio dal Giudice, ma solo su richiesta dell’interessato.

Quanto al termine ultimo per la presentazione della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, questa deve essere formulata prima delle conclusioni rassegnate dalle parti al termine dell’udienza preliminare o prima dell’apertura del dibattimento di primo grado; in caso di decreto penale di condanna la richiesta deve essere presentata con l’atto di opposizione e in caso di giudizio immediato il termine per avanzare la richiesta è quello previsto per la richiesta degli altri riti alternativi (art. 464-bis c.p.p.).

La richiesta può essere presentata anche al Giudice per le indagini preliminari nel corso delle indagini preliminari (art. 464-ter c.p.p.), potendo il Pubblico Ministero, anche prima che venga esercitata l’azione penale e se ne ricorrono i presupposti, avvisare l’interessato della facoltà di chiedere di essere ammesso al beneficio di cui agli artt. 168-bis e ss. c.p. (art. 141-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie al codice di procedura penale). In caso di richiesta avanzata nel corso delle indagini preliminari, il G.I.P., ricevuta la richiesta, la trasmette al Pubblico Ministero, il quale entro 5 giorni deve esprimere il proprio parere.

Alla richiesta di sospensione del procedimento deve essere allegato un programma di trattamento elaborato d’intesa con l’U.E.P.E. o, quanto meno, una richiesta di elaborazione del detto programma.

Sulla richiesta dell’indagato/imputato il Giudice decide con ordinanza dopo aver sentito le parti (accusa e difesa) e la persona offesa. In base ai parametri dell’art. 133 c.p., sulla gravità del reato e la capacità a delinquere del reo, se il Giudice ritiene idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l’imputato si asterrà in futuro dal commettere ulteriori reati, dopo aver valutato che il domicilio dell’imputato assicura le esigenze di tutela della persona offesa, concede il beneficio disponendo con ordinanza la sospensione del procedimento con messa alla prova (art. 464-quater c.p.p.).

Prima dell’inizio della prova, con il consenso dell’indagato/imputato il Giudice può integrare o modificare il programma trattamentale; diversamente, eventuali modifiche al programma, impartite dal Giudice durante la messa alla prova, non presuppongono il consenso dell’imputato ma solo la sua consultazione.

Lo svolgimento della messa alla prova ed i suoi possibili esiti

L’ordinanza di concessione del beneficio viene immediatamente trasmessa all’U.E.P.E. cui è demandata la presa in carico dell’imputato e che deve informare il Giudice sull’andamento della messa alla prova (art. 141-ter disp.att.c.p.p.). Con la stessa ordinanza scatta la sospensione della prescrizione del reato (per il solo soggetto ammesso al beneficio e non anche per i coindagati/coimputati).

Sulla base del programma di trattamento redatto dall’U.E.P.E., il Giudice stabilisce la durata della messa alla prova, e dunque il termine entro il quale l’imputato deve adempiere alle prescrizioni riparatorie e risarcitorie. In ogni caso la durata della sospensione del procedimento non può essere superiore ad un anno per i reati puniti con la sola pena pecuniaria e a due anni per i reati puniti con la pena detentiva.

Decorso il periodo di sospensione del procedimento e ricevuta la relazione conclusiva dell’U.E.P.E. sulla messa alla prova, se il Giudice ritiene che la prova abbia avuto esito positivo dichiara con sentenza l’estinzione del reato; non si estinguono però le eventuali sanzioni amministrative accessorie. Se invece l’esito della messa alla prova è negativo, il Giudice dispone con ordinanza che il procedimento riprenda il suo corso (art. 464-septies, comma 2, c.p.p.); in tal caso l’istanza per la concessione del beneficio in esame non può più essere riproposta.

È poi prevista la revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova in caso di grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte, in caso di rifiuto di svolgere il lavoro di pubblica utilità ed in caso di commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo ovvero di un reato della stessa indole di quello per cui si procede (art. 168-quater c.p.).

Da ultimo, si deve rilevare come, non essendo prevista alcuna norma transitoria, resta dubbia l’applicabilità delle nuove disposizioni ai procedimenti in corso.

La messa alla prova per gli adulti