diffamazione facebookGià in altro articolo ci eravamo occupati del social network Facebook (“Il reato di molestia o disturbo alle persone commesso attraverso Facebook”). Torniamo ora a trattare della più nota e diffusa ‘bacheca’ virtuale con riferimento alla fattispecie di reato della diffamazione.

Il delitto di diffamazione ex art. 595 c.p.

L’art. 595 c.p. punisce con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a 1.032 euro chiunque, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione. Al comma 3 prevede poi, quale circostanza aggravante, che se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro.

Questa ipotesi aggravata del delitto di diffamazione trova il suo fondamento nella potenzialità, nella idoneità e nella capacità del mezzo utilizzato per la consumazione del reato a coinvolgere e raggiungere una pluralità di persone, ancorché non individuate nello specifico ed apprezzabili soltanto in via potenziale, con ciò cagionando un maggiore e più diffuso danno alla reputazione della persona offesa. Allo strumento ‘principe’ di questa fattispecie criminosa, e cioè al mezzo della stampa, il legislatore ha aggiunto “qualsiasi altro mezzo di pubblicità”, poiché anche in questo caso, per definizione, si determina una diffusione dell’offesa.

Facebook come mezzo di pubblicità

In plurime occasioni, la Corte di Cassazione ha stabilito che la pubblicazione di una frase offensiva su un profilo Facebook rende la stessa accessibile ad una moltitudine indeterminata di soggetti (che vi accedono con la sola registrazione al social network) e, in ogni caso, rende le notizie riservate agli ‘amici’ comunque accessibili ad una cerchia ampia di soggetti (Cass. pen. n. 16712 del 2014).

Nella pronuncia n. 24431 dell’08.96.2015, la Suprema Corte ha precisato che “anche la diffusione di un messaggio con le modalità consentite dall’utilizzo di una bacheca facebook ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, sia perché, per comune esperienza, bacheche di tal natura racchiudono un numero apprezzabile di persone (senza le quali la bacheca face book non avrebbe senso), sia perché l’utilizzo di face book integra una delle modalità attraverso le quali gruppi di soggetti socializzano le rispettive esperienze di vita, valorizzando in primo luogo il rapporto interpersonale, proprio per il mezzo utilizzato, assume il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione”.

Così, nella richiamata pronuncia, la Cassazione ha concluso che la condotta di postare un commento sulla bacheca facebook realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone comunque apprezzabile per composizione numerica; di talché, se il commento è offensivo, la relativa condotta rientra nella tipizzazione codicistica di cui all’art. 595, comma 3, c.p.

E si ritiene che una tale interpretazione sia coerente con i principi cardine del diritto penale: tassatività e determinatezza delle fattispecie penali, divieto di analogia in malam partem e ammissibilità dell’interpretazione estensiva.

Da ultimo, anche con la sentenza n. 8328 dell’01.03.2016, la Corte di Cassazione ha ribadito la sussistenza dell’ipotesi di diffamazione aggravata, di competenza del Tribunale monocratico, in caso di commento offensivo pubblicato sul social network Facebook

È aggravata la diffamazione su Facebook