Lo scorso 28 febbraio 2017 la Camera ha approvato in via definitiva il disegno di legge n. 2224 proposto dagli onorevoli Gelli e Bianco, avente ad oggetto “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”.
L’importante riforma riguarda i temi della sicurezza delle cure e del rischio sanitario, della responsabilità sia dell’esercente la professione sanitaria sia della struttura sanitaria pubblica o privata, delle modalità dei procedimenti giudiziari aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, nonché degli obblighi di assicurazione e dell’istituzione del Fondo di garanzia per i soggetti danneggiati da responsabilità sanitaria.
L’intento della riforma, che agisce su tre fronti, amministrativo, civile e penale, è senza dubbio quello di conciliare l’esigenza di garantire la sicurezza delle cure a tutela dei pazienti con l’esigenza di assicurare una maggiore serenità agli esercenti la professione sanitaria, che ad oggi subiscono gli effetti di un enorme contenzioso.
Proprio il considerevole aumento del contenzioso giudiziario, nonché i rigorosi orientamenti della giurisprudenza, hanno indotto i medici a reagire con quella che è stata definita ‘medicina difensiva’. Si parla di medicina difensiva quando il personale medico prescrive esami, cure o visite clinicamente non necessarie (c.d. medicina difensiva positiva), oppure evita al paziente trattamenti ad alto rischio o lo dirotta altrove (c.d. medicina difensiva negativa), con l’intento di evitare accuse per non aver effettuato tutte le indagini e tutte le cure possibili o, nel caso opposto, per aver effettuato trattamenti ad alto rischio di insuccesso.
E proprio al fine di disincentivare queste condotte, il nostro Legislatore è prima intervenuto con la legge 8 novembre 2012, n. 189, c.d. legge Balduzzi, e di recente con il disegno di legge Gelli-Bianco, che a breve sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ed entrerà in vigore.
Il nuovo art. 590-sexies c.p.
Sotto il profilo penale, la novità più importante del disegno di legge in questione è senza dubbio l’introduzione nel nostro ordinamento, con l’art. 6, comma 1, del citato d.d.l. Gelli-Bianco (e rubricato ‘Responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria’), del nuovo art. 590-sexies c.p. (Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario): “1. Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto nel secondo comma. 2. Qualora l’evento si è verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.
Al comma 2 dello stesso art. 6 si stabilisce, invece, che l’art. 3, comma 1, della legge Balduzzi è abrogato: “L’esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attività si attiene alle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve” (Per un approfondimento dei più recenti arresti giurisprudenziali su tale norma, si rinvia all’articolo “Responsabilità medica: la colpa lieve del sanitario che si è attenuto alle linee guida non è penalmente rilevante“).
Ne deriva anzitutto l’eliminazione della problematica distinzione tra colpa grave e colpa lieve, che per la prima volta la legge Balduzzi aveva introdotto nel nostro ordinamento penale: la scriminante di cui all’art. 590-sexies c.p. oggi opera solo in caso di colpa (grave o lieve) per imperizia.
Con la precisazione, poi, al comma 2 del citato articolo, che l’evento (morte o lesioni) si sarebbe verificato “a causa di imperizia”, il d.d.l. Gelli-Bianco fa proprio l’orientamento giurisprudenziale prevalente (Cass. pen. n. 11494 del 2013, Pagano, e Casss. pen. n. 16237 del 2013, Cantore), secondo cui la scriminante della colpa lieve prevista dalla legge Balduzzi riguardava solo i casi di imperizia. Non considera, invece, l’opposto e più recente orientamento espresso con la sentenza n. 23283 del 2016, Denegri, con la quale la Corte di Cassazione aveva ammesso la scriminante per ogni forma di colpa, purché lieve, e quindi anche nei casi di imprudenza e di negligenza (per un maggiore approfondimento delle pronunce citate si rinvia al già richiamato articolo “Responsabilità medica: la colpa lieve del sanitario che si è attenuto alle linee guida non è penalmente rilevante“).
I presupposti per la non punibilità della condotta del medico
Ma vediamo nello specifico quali sono i presupposti cui il nuovo art. 590-sexies c.p. àncora la non punibilità dell’esercente la professione sanitaria.
Preliminarmente deve rilevarsi che il primo comma dell’articolo in esame, che autorevole dottrina ha definito privo di contenuto innovativo, si limita ad indicare che la scriminante di cui al comma successivo si applica alle sole ipotesi di cui agli artt. 589 (omicidio colposo) e 590 (lesioni personali colpose) c.p., così escludendo altri reati propri della professione medica, come ad esempio il delitto di interruzione colposa di gravidanza.
Come anticipato, il primo presupposto per l’operatività della scriminante di cui all’art. 590-sexies, comma 2, c.p. è la riconducibilità della colpa del medico alla sola species dell’imperizia: una tale scelta, dal carattere restrittivo, affida al giudice l’importante compito di individuare i casi in cui si cade nell’imperizia, e quelli in cui invece si verte nella negligenza e nella imprudenza.
Gli altri due presupposti sono il rispetto delle linee guida e l’adeguatezza alle specificità del caso concreto delle linee guida: la punibilità è infatti esclusa quando il medico ha agito nel rispetto delle raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto.
Mentre l’art. 3 della legge Balduzzi non aveva precisato quali fossero le linee guida e le buone pratiche cui il medico avrebbe dovuto attenersi nella sua attività, la nuova disposizione sancisce che le linee guida, il cui rispetto esclude la punibilità, sono quelle “definite e pubblicate ai sensi di legge” ossia quelle definite nell’art. 5 del medesimo disegno di legge (Buone pratiche clinico-assistenziali e raccomandazioni previste dalle linee guida). Più precisamente, tali linee guida sono quelle “elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministero della salute da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, e da aggiornare con cadenza biennale” (art. 5 d.d.l. Gelli-Bianco).
Se da una parte la codificazione espressa delle linee guida può comportare una maggiore determinatezza dei casi punibili e di quelli non punibili, superando le incertezze interpretative della legge Balduzzi, dall’altra parte non deve dimenticarsi che la professione medica, per la complessità delle situazioni che possono verificarsi nella realtà, è difficilmente contenibile entro situazioni standard e predefinite.
In conclusione, non può non rilevarsi come la nuova riforma abbia già suscitato diverse perplessità: come autorevole dottrina ha già evidenziato, appare realisticamente difficile ipotizzare un caso di imperizia se il medico ha rispettato le linee guida e se tali linee guida sono state adeguate alla specificità del caso concreto. Se concordiamo sulla presenza di dubbi circa la necessità e la futura applicabilità della disposizione recentemente introdotta, non troviamo corretto definire la novità legislativa una sorta di depenalizzazione, atteso che trattasi tutt’al più di una causa di non punibilità