Con la sentenza n. 41 del 2 marzo 2018 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 656, comma 5, c.p.p. nella parte in cui si prevede che il pubblico ministero sospende l’esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a tre anni, anziché a quattro anni”.

L’art. 656, comma 5, c.p.p. e la sospensione dell’ordine di esecuzione per le pene detentive non superiori a 3 anni

L’art. 656, comma 5, c.p.p. prevede che il Pubblico Ministero sospenda l’ordine di esecuzione delle pene detentive non superiori a 3 anni di reclusione. La ratio di una tale disposizione è quella di preservare la libertà del condannato ad una pena che non superi i 3 anni, al fine di consentirgli di presentare al Tribunale di Sorveglianza una richiesta di affidamento in prova al servizio sociale e di rimanere libero fino a quando non sopraggiunga una decisione sulla sua richiesta. In questo modo si evita l’ingresso in carcere alle persone che possono godere della detta misura alternativa alla detenzione, disciplinata all’art. 47 l. n. 354 del 1975, il cui comma 1 recita: “Se la pena detentiva inflitta non supera tre anni, il condannato può essere affidato al servizio sociale fuori dall’istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare”.

L’affidamento in prova ‘allargato’

L’art. 3, comma 1 lett. c, del d.l. n. 146 del 2013 (Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e riduzione controllata della popolazione carceraria), convertito con modificazioni nella l. n. 10 del 2014, ha introdotto il comma 3-bis al citato art. 47 l. n. 354 del 1975, delineando una forma di affidamento in prova al servizio sociale c.d. allargato: “L’affidamento in prova può, altresì, essere concesso al condannato che deve espiare una pena, anche residua, non superiore a quattro anni di detenzione…”.

Tuttavia, a fronte della importante novità dell’affidamento in prova per pene detentive non superiori a 4 anni, il Legislatore non ha conseguentemente modificato il termine indicato dall’art. 656, comma 5, c.p.p. per la sospensione dell’ordine di esecuzione della pena detentiva. In questo modo, coloro che devono espiare una pena detentiva non superiore a tre anni potrebbero usufruire della sospensione dell’ordine di esecuzione in vista dell’accesso all’affidamento in prova ‘ordinario’, mentre coloro che devono espiare una pena detentiva compresa tra tre anni e un giorno e quattro anni non potrebbero sottrarsi alla carcerazione, nonostante sia loro concedibile in astratto l’affidamento in prova ‘allargato’.

Sulla questione, della quale ci eravamo già occupati in un altro precedente articolo, la giurisprudenza di merito e di legittimità si era più volte espressa con indirizzi contrastanti, ma aderendo il più delle volte all’interpretazione letterale dell’art. 656, comma 5, c.p.p. e ribadendo quindi che l’ordine di esecuzione doveva sospendersi solo per le condanne a pene non superiori a 3 anni.

L’ordine di esecuzione della pena deve essere sospeso anche per le pene fino a 4 anni di reclusione

La Corte costituzionale, con la sentenza in commento, si è espressa nel senso che il Legislatore, non elevando a 4 anni il termine previsto per sospendere l’ordine di esecuzione della pena ha leso l’art. 3 Cost., “dando luogo a un trattamento normativo differenziato di situazioni da reputarsi uguali, quanto alla finalità intrinseca alla sospensione dell’ordine di esecuzione della pena detentiva e alle garanzie apprestate in ordine alle modalità di incisione della libertà personale del condannato”.

La Consulta ha pertanto dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 656, comma 5, c.p.p., nella parte in cui si prevede che il pubblico ministero sospende l’esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a tre anni, anziché a quattro anni.

L’ordine di esecuzione della pena va sospeso anche ai condannati a pene fino a 4 anni